Stamani ho guardato il video di presentazione di un collega americano, che propone una Terapia da svolgere a casa, a cura degli stessi familiari. Dal suo sito leggo “Un ictus può capovolgere il mondo di una famiglia in pochi secondi. Ti ritrovi nella battaglia della tua vita, guidato da qualcuno che hai incontrato all’ospedale, nella speranza che abbia le risposte. Mano a mano che passa il tempo e le parole non tornano, cominci a chiederti: “Sarà mai in grado di parlare di nuovo?” Siete stanchi di esercizi, compiti,software o noiose sessioni di un’ora a recitare liste di parole? Nella mia pratica clinica come patologo del linguaggio esperto negli ultimi 40 anni, ho ascoltato centinaia di pazienti frustrati e familiari dirmi queste parole. Anch’io ero stanco di programmi che non portavano a nulla. Sapevo che ci doveva essere un modo migliore, così ho iniziato a trattare i miei pazienti in modo diverso. Ho messo via gli esercizi, e ho cominciato a parlare con i miei clienti di cose che li interessavano. Ho imparato che le persone imparano molto più velocemente quando si parla con un altro uomo invece che con un computer!”
Questo collega vende un libro dove presenta il suo metodo, che definisce rivoluzionario. Dice che la logopedia è meglio farla in casa, a cura della famiglia, sotto la supervisione di un professionista.
Ma la cosa che davvero mi ha colpito è stato il video. Davanti ad un gruppo di persone afasiche e rispettivi consorti espone le sue teorie, direi molto generiche, circa il fatto che per avere successo, il lavoro di riabilitazione deve prevedere un buon rapporto con il terapeuta, una non meglio precisata “ricettività agli stimoli” (la chiama “stimolability”) e poi fa un ardito paragone con la fase di acquisizione del linguaggio quando si è bambini. E fino a qui sono parole, ma quel che fa, mi ha davvero lasciato perplessa. Con una serie di strategie che qualunque logopedista conosce, fa ripetere ad alcune persone afasiche delle frasi, ottenendo l’ammirazione del gruppo ma lasciando anche intendere che dalla ripetizione sia inevitabile passare alla “conversazione” senza motivare assolutamente come questo possa avvenire e senza darne prova,quel che vedi sono persone che ripetono frasi cui viene dato un particolare ritmo, il che sappiamo avere un effetto facilitante …addirittura poi sfrutta il trucco del far cantare la persona come esempio della sua capacità di slatentizzare le parole negli individui. Il libro non ho la possibilità di leggerlo perchè va acquistato e dunque non sono in grado di giudicare il metodo ma la sua performance mi ha fatto riflettere sull’immagine che noi operatori diamo rispetto alle nostre abilità terapeutiche, ciò che mostriamo di “saper fare”.
A volte nella prima seduta , quando visito un paziente la cui afasia è molto severa, mi sono accorta di dover prestare particolare attenzione al momento in cui applico alcune tecniche che conosco, di “sbloccaggio” di determinati meccanismi. Lo faccio per chiarirmi le idee sulla entità del disturbo, a scopo prognostico, ma mi sono resa conto che vista da fuori a volte la scena ha qualcosa di “magico” quasi che noi operatori fossimo in grado davvero di “aggiustare” un meccanismo inceppato, con le nostre virtù taumaturgiche. A volte i familiari sentono il proprio caro che per la prima volta, da tempo, tira fuori la voce o pronuncia delle parole (magari proprio perchè lo si fa cantare, elicitando il contributo dell’emisfero destro non lesionato) e l’emozione è forte, così come per la persona stessa. Ma il rischio è di lasciar credere che, a cascata, succederanno altri “piccoli” miracoli. A volte accadranno, a volte no. E non sono proprio miracoli, ma effetti della capacità plastica del cervello, opportunamente stimolato, laddove esiste una sufficiente integrità delle strutture cerebrali nonché una serie di altre variabili complesse che ora sarebbe impossibile elencare. Le persone vanno aiutate a comprendere cosa sta accadendo in quel momento, per poterlo vivere con consapevolezza e senza troppo facili abbagli. Certi percorsi sono delicatissimi e meritino grande attenzione.
In ogni caso ciò che trovo davvero importante osservare nel video sono stati i familiari: la moglie che per tutto il tempo accarezza il braccio del marito seduto vicino, gli sguardi supportivi e speranzosi delle altre donne. La disponibilità e il desiderio di ciascuna di loro, di trovare finalmente una risposta alla loro più grande domanda. E la disponibilità a credere, ad affidarsi. La positività di crederci ancora una volta, dopo chissà quanti tentativi. L’ansia, la tensione, che ogni tanto si spezzano in risate liberatorie. Ci vedo tutta l’innocenza di chi spera. Sono sguardi che conosco, nella pratica quotidiana. Quel desiderio di protezione che vedo nei loro occhi, merita un grande rispetto. Il nostro lavoro è difficile. Devi crederci, ma devi sapere bene dove stai andando. Perchè con te porti un mondo di speranze, che appartengono ad altri ma di cui anche tu sei responsabile.
Patti di guarigione? Parliamone…
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