Sono sempre più convinta che non si dovrebbe mandare gente allo sbaraglio. Mi riferisco alle logopediste, messe di fronte a situazioni complesse senza una preparazione adeguata. Molte non sanno come gestire la situazione della afasia grave (la domanda sottesa di pazienti e familiari “tornerò a parlare?”) e lottano strenuamente per rimanere dalla parte del mondo in cui è ancora possibile crederlo. Perchè le hanno convinte che quello devono fare, come se non ci fosse altro. Penso alle situazioni di confronto con una persona mielolesa che non sa che non camminerà piu’….
Eppure situazioni del genere le viviamo spesso. Pare che nessuno ci insegni come si fa il nostro vero compito, che non è portare la gente indietro nel tempo, restituire la vita di prima, ma aiutarla a costruirsi un’idea diversa di qualità di vita. Idem con i familiari. Ma come fai quando non hai la più pallida idea di quali siano i meccanismi di adattamento di noi esseri umani, che nella malattia mimiamo in modo complesso e rapido? Nessuno ti ha parlato degli stili di coping, di autoefficacia, del controllo percepito…ma sai tutto di fonemi e sintagmi.
E le altre figure professionali che ti trattano come una meccanica del linguaggio, un’interprete (quasi tutte donne), una mediatrice che però media solo in una direzione. Verso il mondo delle parole, dalla quale ha il terrore di staccarsi.
Si può passare dalla sensazione di un fuoco che ci attanaglia e circonda tutti minacciosamente, alla gestione del fuoco per riscaldarci ad esso (devoto)
la verità non si improvvisa
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