Il film “after | words” e il progetto che porta lo stesso nome, vanno al cuore della faccenda.
Bisogna far crescere consapevolezza nella comunità – a tutti i livelli (significa dai bambini in su) che la persona con afasia esiste, si muove in giro per il suo mondo, lavora (in America, meno in Italia), ha spesso una famiglia di cui occuparsi, ha un ruolo, affronta ogni giorno i problemi che abbiamo noi probabilmente ulteriormente complicati, ma insomma è un/a cittadino/a e non l’effetto di una malattia, un/a paziente di qualcun altro che parla sempre, inevitabilmente, al posto suo.
L’afasia è un disturbo di linguaggio, non dell’intelligenza o della personalità ( a parte che anche in queste situazioni bisogna stare attenti a non scivolar velocemente nel concetto di non-persona) dunque smettiamola di dare alle persone con afasia una immagine o di “perenni sofferenti e bisognosi” o di “eroi che sfidano una sorte avversa” la cui inesauribile lotta esaurisce l’orizzonte di vita
Dobbiamo cambiare i concetti di norma, normalità, normalizzazione.
La disabilità, come differenza dalla norma, per lo piu’ spaventa la gente (addirittura molti hanno paura perche’ non sanno come parlare con la persona con afasia, come posare lo sguardo su di lei).
A questo non sapere ovviano cedendo agli stereotipi che sono basati su superstizioni, miti e vecchie convinzioni. Correlate alla nostra cultura ma soprattutto tenute vive perché costantemente riprodotte dai mezzi di comunicazione: libri, film, televisione, giornali e pubblicità.
Ci sono almeno due modi in cui l’industria pubblicitaria contribuisce alla discriminazione. In primo luogo, la dimentica o ne da una visione distorta, perdente. E poi viene fatta da persone non disabili.
Se ci fosse un maggior coinvolgimento diretto delle persone con afasia nel mainstreaming e dunque non necessariamente nelle pubblicità progresso o nei documentari a tema, ma in altre produzioni mediatiche, otterremo diversi vantaggi:
- Aumentare la visibilità (lo stanno facendo con gli stranieri) Il fatto che ci siano solo persone non disabili nei media rinforza la percezione negativa che la persona con disabilità non fa parte in qualche modo della vita normale
- Aumenterebbe la percezione latente della normalità implicita nel vivere quotidiano delle persone con disabilità accanto alle persone senza disabilità. Raggiungemmo questo risultato se inserissimo ne film o nelle pubblicità persone disabili come contorno della scena non come oggetto centrale, magari drammatico
- Permetterebbe di educare le persone non disabili in ansia rispetto al come relazionare con persone disabili
- Modificherebbe la presunzione circa le base prestazioni attese, mostrando la persona con disabilità in ruoli sociali differenti dai soliti (eroici, vittime, crociati…) es. Ruoli di supporto, nei quali la disabilità non è al centro dell’attenzione
In sintesi si puo’ ridurre l’Aversive Disablism in tre modi:
Piu’ contatto – Piu’ cura del linguaggio – Piu’ controllo delle proprie dinamiche di pregiudizio