Ascolta “Siamo occhio e bocca” su Spreaker.
Mia figlia e suo marito sono venuti in Ospedale e hanno visto come ero. Poco prima avevano scoperto di aspettare un bambino, ma non l’avevano ancora detto a nessuno. A questo punto me lo hanno detto e questo fatto ritengo che sia l’episodio che mi ha dato una motivazione vera, diversa, per resistere e combattere. Poi ci ho messo il mio carattere. Quanto ho combattuto! Perché da un lato mi dicevo che dovevo farcela , anche se non potevo fare niente. Cosa potevo fare? Non era nella mia possibilità fare nulla. Ci posso mettere la buona volontà, ma altre forze non ne ho.
Ecco, a proposito di questo luogo in cui si combatte, ieri hai detto “Attenzione, questa non è una fabbrica! Qui non si preparano delle macchine da guerra. Non è una fabbrica in cui tutto deve funzionare nello stesso modo identico per l’uno e per l’altro”.
Sì, io devo funzionare nella mia vita, nella mia dimensione, nel mio modo di essere. Io ad esempio ti dico; non siamo in una fabbrica ma siamo macchine da guerra. Non macchine che vanno a uccidere, a rompere le scatole alla gente, ma macchine fatte per combattere. Insomma, il corpo umano è una bella macchina. Però bisogna prenderla per il verso giusto questa macchina, se no, non ci fai niente.
Però tu stesso mi dicevi che scorre una linfa vitale in questa macchina, che non sembra tanto ricostruibile in laboratorio. Piuttosto cosa bisogna dire a una persona in questa fase in cui la linfa fatica a scorrere?
Beh, prima di tutto bisogna vedere se capisce. Io capivo ma non so quanti capiscono. Comunque ha bisogno di sentire le cose nel modo più semplici possibile. Stiamo parlando con un organismo ai minimi termini, stiamo parlando con un essere talvolta ridotto a un occhio e una bocca. Gli devi dire cose elementari. Magari anche stupide, ma rivolte a lui, perché questo occhio e questa bocca sono nulla e si rendono conto di essere nulla. Ma se qualcuno si rivolge a loro, gli da una dimensione, gli da un ruolo, un’esistenza, gli da la prova che esiste. Bisogna stare attenti a cosa si dice, le parole sono lanciate come salvagenti, bisogna aggrapparcisi e non è facile.
Tutto ciò che dici, fa pensare che si tratti fondamentalmente di un gran lavoro di “riconnessione”, addirittura mi hai parlato di una sorta di “rimappatura” del tuo corpo…il pezzettino di carta messo sotto la schiena, i punti segnati con la penna per darti dei punti di repere…come se ci fosse la necessità di riconnettere dei fili che erano stati disconnessi dall’ictus…
Ma il filo è troppo materiale…non è una questione di fili…come ti posso dire? E’ una ricostruzione, ma è pericolosissima. Io oggi sto pagando un prezzo, di cui prima non avevo consapevolezza, Sto pagando il prezzo di quella ricostruzione li. Perché attraverso quella ricostruzione mi sono confrontato ad esempio con il braccio per quello che è ora. Quindi non si dovrebbero fare esperimenti a capocchia, come facevo io, perché si rischia di fare dei danni. Io, da quando faccio questa operazione qui, di cercare punti significativi del mio corpo, per capire cosa sento, mi sono focalizzato sulla gamba, lasciando perdere il braccio. Fino a dimenticarmene. Non era più in me l’idea del braccio. Stamattina hanno visto che c’era un graffio, io non me ne ero accorto perché non mi interessavo più a lui.
Non abbiamo energie illimitate, infinite. Ci possiamo orientare su una cosa, ma bisogna sapere cosa si fa. Lo sanno i medici. Magari noi sentiamo delle cose che i medici non sentono, ma non possiamo capire bene cosa succede. Io ad esempio, quando cerco di “sentire” i punti del corpo, ho delle percezioni sovrapposte. Fino a un certo limite, io non riesco a distinguere quello che è gamba da quello che è braccio. Stamattina ad esempio, mi hanno fatto le Tens al braccio e sento che mi formicola la gamba, perchè evidentemente la corrente arriva anche lì. Più vai avanti e meno ti succede, a un certo punto fai le Tens al braccio e le senti solo al braccio, ma quando hai questa ipersensibilità…e quindi quando cerco di mandarmi uno stimolo, un impulso, non so dove lo mando …rischi di mandarlo dove non devi e ottenere un risultato opposto.
Quindi, tornando a quell’esserino che è nella pancia di tua figlia, ti ha fatto un po’ di compagnia…
Mi ha fatto compagnia, gli ho anche parlato. Nella follia del momento, parli. Poi lo perdi, ma c’è un istante nel quale sei quasi convinto di avergli parlato. Comunque è difficile esprimersi. Non sempre le cose che si hanno da dire, si vogliono dire. Con te abbandono le barriere difensive, e vado a ruota libera ma mi rendo conto che se dovessi parlare con la Dottoressa, non riuscirei a raccontare queste cose. Sarei preso per matto. No? E’ più facile credere che avendo passato un brutto momento sono del tutto esaurito e straparlo. Io stesso penserei così. Sarei scettico, penserei che quella persona è confusa.
Forse è sufficiente ascoltare lontano da ogni presunzione e pregiudizio. Sono esperienze che magari chi ti ascolta non conosce ma se c’è rispetto e fiducia nell’altro…su quanto ti può comunicare…
Comunque non è facile parlare con gli altri, rapportarsi. C’è una strana sensazione nel momento in cui si ritorna, migliorati, negli stessi posti in cui eri andato quando eri diverso, in difficoltà. Ci torni non contento di essere guarito ma quasi vergognoso di essere guariti e quindi si vedono le persone a fianco a te e si prova quasi un senso di vergogna. Come faccio a guardarle in viso? …nel momento in cui le guardo è come se dicessi: “Io sono guarito e tu no”. Non sempre il tuo interlocutore ha un futuro davanti. A volte c’è una persona che non ha futuro, non ha tanti anni davanti a sé. Si capisce, si percepisce.
Cosa significa avere futuro davanti, per te?
Domanda difficile. Fermo restando che ognuno di noi ha una scadenza. Siamo come lo yogurt, mi hanno rimesso in frigo temporaneamente. Perché verrà il momento in cui, pur rimesso in frigo, la mia scadenza arriva. Dobbiamo saperlo. Abbiamo un termine. Come ci si rapporta con questo fatto? Bisogna imparare a riconoscere che c’è questo termine, bisogna avvicinarsi a quel momento con serenità. Io vedo mia suocera che adesso si vede sfuggire il tempo sotto il naso. Non può più farci niente e lo vedi, è una cosa triste. Rifiuta il dialogo, fa le cose che deve fare ma non c’è sorriso. Se la saluto affettuosamente sento la distanza che mette tra noi, e con questi individui non c’è niente da fare. Con altri ci si può spingere un pochino oltre e affrontare questo discorso difficile…magari giocando con le parole come faccio io quando ti parlo di noi stessi come yogurt. Si può parlare del fatto che è un ciclo, si nasce, si muore. E’ normale. Almeno possiamo parlarne e cercare di avvicinarci insieme, serenamente.
A proposito di parole, ieri parlavamo della richiesta dell’Invalidità. So tutto su come si ottiene, ho aiutato decine di persone a preparare i documenti ma cosa significa la parola “invalidità” quando è riferita a te stesso?
Mia moglie non sapeva se farla o non farla. Perché mi diceva “Intanto tu, in tutti i casi, te la cavi”. E’ un’ iniezione di fiducia incredibile ma una responsabilità non da poco. E se poi non te la cavi? E’ colpa tua? Te l’ha detto tanto per dirlo? Sono stato io a dire “No, falla, è meglio, non si sa mai…” anche se ero quasi convinto di riuscire ad arrivare al mio intento. Perché ce la metto tutta, se poi uno pur mettendocela tutta non ce la fa…pazienza. Comunque sì, mi sono interrogato. Domanda di invalidità! Quindi io, bene o male, a rischio, non a rischio, sono un invalido? Non so, è la prima volta che me lo chiedo veramente
Io ho ancora un’altra idea. Non è che siamo tenuti a lavorare fino alla morte, il criterio della Previdenza Sociale in origine era quello di lavorare fino a quando riesci a stipendio pieno, non ci riesci? Sei affaticato? Hai dei problemi? Allora vai in pensione con stipendio ridotto. Il concetto è che c’è solidarietà tra chi è ancora in grado lavorare e chi non ha più forza nelle braccia. Chi ha la forza si fa carico per gli altri. Quindi è corretto mettere in relazione i bisogni di tutti. Non occorrono nomi speciali. Non si tratta di Diritto alla salute in generale. Ma di diritto alla Assistenza affinché io possa avere tutto l’aiuto possibile per farmi raggiungere la mia salute, compatibile con la mia condizione fisica, con quello che sono. Ci vorrebbe il Ministero della Assistenza, non della Salute.