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Il Tempo nella Riabilitazione

Ascolta “Il tempo nella riabilitazione” su Spreaker.

Parliamo del Tempo che scorre durante la Riabilitazione

Il tempo reale non esiste, quello in cui lavoravi, facevi la tua vita normale, non esiste o meglio non esiste solo quello. Ne prendiamo atto, ma non esiste per noi. Le persone “normali” non ci fanno caso ma se esiste una cosa che non puoi rigenerare, non puoi inventare…è proprio il Tempo. Questo meccanismo strani, quasi incerto. Se chiedi a qualcuno cosa è il tempo, difficilmente ti saprà dare una risposta. In ogni caso, questo tempo che noi abbiamo non è eterno. E’ contato, ognuno di noi quando nasce è come lo yogurt, ha una data di scadenza. Cosa ci vuoi fare? Ti mancano 500 giorni, 499…498…497…te li vedi sfuggire, giorno per giorno. Sempre meno risorse, meno forze. Certo magari hai ancora quattro anni davanti, ma in questi quattro anni cosa ti sarà mancato, cosa sarà venuto meno?

Vuoi dire che pensi al Tempo impegnato nella Riabilitazione come a un Tempo che nessuno ti potrà mai restituire e che non era pieno di vita come il precedente?

Esattamente, è questo. E’ un lavorare per se stessi, nel momento in cui questo “qualcosa di prima” ti è precluso. Tu lavori in prospettiva, per una cosa che vorresti oggi. E quando magari la raggiungerai, sarai già cambiato. Non sai cosa vorrai allora.

Mi stai facendo capire come mai quando dico a un paziente , che ha davanti un tempo lungo per recuperare (pensando che sia sollevato da questa prospettiva), questo è sempre molto deluso e amareggiato dalle mie parole. A me pareva una bella notizia, perché avevo una comprensione parziale di come si sente il paziente rispetto al fattore Tempo…

Non è affatto una bella notizia, è demenziale. E’ come quando dici a qualcuno, ti ho sentita “Oh bene, sei qui. Molto bene. Sarà difficile, sarà dura, ma ce la farai”. Non fa una piega, e invece la fa. Perchè ti rendi conto che chi ti parla lo fa, perché lo deve fare. Se tu mi dici ”Sì, ce la facciamo, ce la faremo…” io penso “Porca miseria, no, non ce la faremo. Non sai se ce la faremo. Non lo sai tu, non lo so io”. Io mi affido a te, ci credo, ma faccio finta.

Ma è anche vero che il riabilitatore competente, se allude a un recupero è perché ci crede e ci crede se ha sufficienti elementi per ritenerlo molto probabile. Altrimenti se ne guarderebbe bene…

Sì, ma tu, paziente, sei ancora troppo fragile per capire. Io a chi arriva nel Centro di Riabilitazione, non parlerei come si parla ad una persona normale. Bisogna parlarle come faresti con un bambino. Io sono una persona che ha subito un trauma, non so più parlare, non so più chi sono, devo parlare con qualcuno che parla il mio linguaggio. Parlerei come si parla ad uno straniero. O non so in che modo, ma parlerei un linguaggio diverso. Semplificato. Non attaccherei una tirata su “cosa ti è successo, il tal giorno, la tal ora…”. Bisogna parlare a flash…non lunghi discorsi, poche cose. Anzi, più che parlargli, bisognerebbe ascoltarlo.

Qui c’è una persona che non parla, ma oggi mi ha detto “Ciao!”. Sono tornato indietro, gli ho fatto una grande festa! Gli ho detto “Nel tuo Ciao ci sta tutto! Domani sarà Buongiorno!, Buonasera! Chissà”. Ci sta un sorriso, una pacca sulla spalla, non grandi discorsi. Si perderebbe, si disorienta, non ce la fa a seguirti, a capirti.

A proposito di quel “Ciao” sentito per la prima volta pronunciare da una persona che fino a quel momento non riusciva a parlare, quale immagini sia il processo che si è attivato? Che tipo di investimento di energie e di risorse pensi siano state messe in campo per ottenere quel “Ciao?”

Sinceramente? Io penso sia la componente umana che agisce naturalmente, io non penso sia effetto della riabilitazione. E’ una componente umana, fisica, che reagisce, si riattiva. Il corpo per sua natura tende a ristabilire l’equilibrio. La riabilitazione accompagna, coadiuva. Prende per mano, indirizza. Ma se non ci fosse la natura che mette mano, non ci sarebbe recupero…

Sono d’accordo per certi versi, ad es. per l’ambito della comunicazione il cervello fa davvero il massimo per riorganizzarsi e lo fa da solo, ma è anche vero che in ambito motorio, la natura mette in campo strategie di compenso che però sono negative e non aiutano il recupero. E lì il lavoro riabilitativo diventa fondamentale…

Sì, è vero me lo hanno spiegato. Ma ricordo anche che l’altro giorno tu e io abbiamo parlato della Forza Vitale che si mette in moto da sola. Puoi solo orientarla. L’individuo con la sua volontà, ha la capacità di fare o non fare. Ad esempio nelle persone anziane c’è più voglia di lasciarsi andare…io alla mia età non passerei molte ore a letto. Mentre molti anziani passano ore a letto, pur sapendo che questo non li aiuterà. I giovani hanno un atteggiamento diverso, meno arrendevole. Magari hanno lo stesso tipo di problemi, ma reagiscono diversamente.

Certo, c’è da chiedersi cosa stia pensando ogni persona che si trova in questa stanza in questo momento…

Eh…su questi soffitti vengono proiettati centinaia di film diversi e lo stesso film ogni giorno cambia

E cosa si può dire dei tempi morti passati qui, quei lunghi momenti nei quali non ci sono attività?

Bisogna fare sempre qualcosa, per gestire il pensiero, che altrimenti diventa ossessivo. Quando viene mia moglie non è che parliamo tanto, facciamo sempre piccole cose per riempire queste lunghe ore.

Come si può ovviare a questo non fare?

Bisognerebbe pensare a creare occasioni di socializzazione naturale, adulta e poi uno spazio di approfondimento su temi che stanno a cuore a noi pazienti. Siamo qui per curarci, non per guarire (chi lo sa…) e dunque non ci interessano film o altre cose ma spiegazioni. Cose che riguardano il problema per cui siamo qui, espresse con una terminologia semplice.

E il Tempo della Guarigione?

La guarigione non è mai definitiva, mai certa. E’ fatta di un percorso di autoconsapevolezza e controllo. Io nelle lunghe ore notturne mi impegno in uno strano lavoro che nella mia testa mi aiuta a “unire le placche” che l’ictus ha sconquassato. Mi sono fatto una rappresentazione mentale di quello che è successo nel mio corpo e di quello che deve avvenire perché io torni a stare bene, appunto una “unificazione” di placche ora sconnesse. Cerco di crearmi dei punti di repere, di notte, sul mio corpo, con delle palline di carta messe dietro la schiena, cerco di capire fino a dove le sento. Mi sono fatto segnare sulla pelle con la penna dei cerchietti sulla schiena e sul bacino, per costruirmi una mappa delle sensazioni che riesco a provare, in relazione ai vari punti del corpo.

Non mi bastano le indicazioni tecniche del fisioterapista tipo “stringa le natiche!” .

Perché a un certo punto mi stanco a stringere le natiche mentre io ho bisogno di fare altre mille esperienze anche piccole, parcellizzate, che mi tengono in contatto con il mio corpo e mi permettono di ricostruire questo contatto. Ho la necessità di connettermi.

E’ un lavoro che in qualche modo si realizza anche durante le attività con gli operatori?

Sì ma qui non siamo una fabbrica, che deve produrre esseri di nuovo performanti. Non devo renderti uno in grado di correre i 100 metri in tot secondi, tu non sei qui per questo. Tu mi curi perché io possa vivere la vita che ho davanti. Ma una cosa voglio dire a voi riabilitatori. Noi abbiamo bisogno di una riabilitazione che sia basata sulla situazione presente, ci dovete mettere in condizioni di vivere la nostra vita nel contesto in cui siamo adesso ma al massimo delle nostre potenzialità. Ad esempio, ho bisogno di aprire gli sportelli dell’armadietto della camera e devo imparare a farlo adesso meglio che posso

 

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