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La spalla nel paziente emiplegico

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Serie “Educati alla Cura“

 

 

LA SPALLA NEL PAZIENTE CON EMIPLEGIA

 

 

 di Giuliana Caccavale

 

 

La spalla della persona emiplegica è un’articolazione molto vulnerabile, e questa vulnerabilità è essenzialmente riconducibile all’attività ridotta di alcuni dei muscoli di questa articolazione, in particolare di quelli il cui compito principale è di mantenere la testa dell’omero nei giusti rapporti articolari con la scapola.

I problemi che possono insorgere a carico della spalla sono essenzialmente tre: la sublussazione, la spalla dolorosa e la sindrome spalla mano.

E’ importante sapere che in tutti questi tre casi non ci troviamo davanti a evenienze direttamente causate dall’emiplegia. Ciascuna di queste infatti è la conseguenza di traumi subiti dall’arto plegico o di un suo cattivo posizionamento o scorretta mobilizzazione.

Quelle che vi sto per dare sono alcune informazioni per ciascuna di queste problematiche. Lo farò senza entrare troppo nel merito, ma cercando comunque di chiarirne i tratti distintivi di ognuna.

Vediamo allora come riconoscere la sublussazione di spalla: in questi casi è possibile notare una sorta di scalino tra la testa dell’omero e la scapola (quindi all’altezza dell’attaccatura della spalla), la cui presenza dà conto appunto della sublussazione, cioè dell’alterato rapporto articolare tra omero e scapola. La sublussazione è purtroppo molto frequente in emiplegia, con un’incidenza che supera il 70%. La causa principale della sublussazione di spalla è una scorretta mobilizzazione del braccio, che viene strattonato o tirato da chi assiste, e/o un suo scorretto posizionamento, lasciato per esempio pendere lungo il fianco fuori dalla sedia quando il paziente è seduto, e/o lasciato pendere lungo il fianco quando il paziente è in piedi. Non sempre la sublussazione di spalla si accompagna a dolore.

Parliamo ora della spalla dolorosa: anche in questo caso non siamo di fronte a un sintomo dell’emiplegia, ma piuttosto alla conseguenza di un trauma. Visto l’alto numero di articolazioni presenti a questo livello, sono purtroppo sufficienti traumi anche non violenti ma ripetuti per provocare un dolore continuo, presente sia a riposo sia nella mobilizzazione, che se non risolto può condizionare anche pesantemente la progressione riabilitativa.

Vediamo ora la sindrome spalla mano, chiamata anche sindrome di distrofia riflessa o algodistrofia. L’incidenza è di circa il 20%. In questi casi c’è un edema in genere soffice alla mano, evidente soprattutto sul dorso. Il colore della mano varia dal rosa al viola, mentre le unghie sono opache e la pelle appare lucida. Il dolore in questi casi è di solito molto intenso e interessa la spalla e il polso, e viene scatenato soprattutto dalla mobilizzazione in flessione dorsale del polso e delle articolazioni metacarpo falangee.

Il fattore scatenante è un edema causato da interruzione del circolo venoso sul dorso della mano, provocato da:

  • uno scorretto posizionamento del polso in un braccio generalmente ipotonico, cioè flaccido, mantenuto in flessione palmare o dorsale forzata e prolungata

  • eventi traumatici, per esempio la mano che rimane tra i raggi della ruota della carrozzina o che urta contro qualcosa

  • dai liquidi della fleboclisi che esce dalla sede con conseguente non riassorbimento da parte della pompa muscolare

Ora sappiamo che l’insorgenza di queste problematiche non è affatto inevitabile, ma piuttosto dovuta a cattiva gestione. Presteremo quindi molta attenzione all’adeguatezza delle nostre manovre ogni volta che mobilizziamo o posizioniamo l’arto superiore plegico, operazioni che faremo sempre con grande scrupolo, evitando innanzitutto di strattonare o tirare l’arto afferrandolo al gomito o, peggio, al polso: se dobbiamo sollevare o spostare il nostro paziente, o più semplicemente sollevargli il braccio, lo faremo con una presa alla scapola e l’altra al braccio, possibilmente non al polso ma al gomito, così da mantenere inalterati i rapporti articolari tra scapola e omero.

La spalla del paziente emiplegico va sempre gestita con grande cura quindi, anche quando queste problematiche non sono presenti, chiedi al fisioterapista di mostrarti cosa fare e cosa non fare durante lo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana. Qualora ciò non fosse possibile, non esitare a contattarci per una consulenza.

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