Testi Podcast
Serie “Educati alla Cura“
RICONQUISTARE L’AUTONOMIA DOPO UN ICTUS
di Giuliana Caccavale
Un tema che ricorre spesso quando si parla di recupero motorio dopo una lesione al sistema nervoso centrale, è quello che ruota intorno a due diversi approcci di intervento. Ci si chiede cioè quanta enfasi debba essere messa nel promuovere il recupero di strategie di movimento cosiddette normali, rispetto a concentrarsi invece sull’insegnamento di strategie di movimento compensatorie, cioè nuove modalità di esecuzione del movimento, scelte in seguito al sopravvenire della lesione.
Quando si parla di recupero di normali strategie di movimento, ci si riferisce a strategie di movimento funzionali, cioè alla capacità dell’individuo di eseguire un compito motorio utilizzando le stesse strategie di movimento utilizzate prima della lesione.
Le strategie compensatorie consistono invece in modalità atipiche di svolgimento di un compito, facendo cioè ricorso a strategie di movimento alternative rispetto a quelle solitamente utilizzate: nel paziente emiplegico, per esempio, stare in piedi con il peso tutto spostato sull’arto inferiore sano è una strategie posturale di tipo compensatorio. Ma strategie compensatorie sono anche quelle che in qualche modo “riflettono” modifiche apportate all’ambiente per facilitare o semplificare l’esecuzione di un compito. Si pensi ad esempio ai maniglioni che possono essere installati in bagno vicino al water per facilitare la persona nei trasferimenti.
Non è quindi così facile stabilire quando sia meglio facilitare strategie di movimento normali e quando invece promuovere l’apprendimento di strategie compensatorie. Molto spesso, tuttavia, un criterio utilizzato per decidere è quello che ha a che fare con il tempo. Ossia: nel paziente nella fase post acuta, l’enfasi sarà sul recupero di strategie di movimento cosiddette normali, mentre nel paziente nella fase cronica l’enfasi si sposta nel massimizzare l’autonomia funzionale facendo anche ricorso a strategie di movimento compensatorie.
Un altro criterio è quello che ha a che fare con la natura della lesione: in presenza di un danno neurologico permanente e non modificabile, indipendentemente dalla variabile tempo, il focus si sposta sull’apprendimento di strategie di movimento compensatorie. E’ questo per esempio il caso di una persona con lesione completa del midollo spinale che, per acquisire un buon livello di autonomia nelle attività di vita quotidiana, dovrà necessariamente imparare strategie di movimento alternative a quelle utilizzate prima della lesione. In presenza invece di compromissioni temporanee e modificabili, sia tramite recupero spontaneo sia in risposta alla terapia (per esempio in caso di ictus), l’enfasi dovrebbe essere sul recupero di strategie di movimento normali.
Ovviamente la decisione non è sempre così facile perché molto spesso non è possibile sapere in anticipo se e in quale misura il danno si risolverà. Per esempio in caso di persone con un danno cerebro vascolare acuto che presentano flaccidità degli arti colpiti, è difficile stabilire con certezza quando e se sarà loro possibile controllare il movimento degli arti. In queste situazioni, il criterio cui si fa di solito riferimento è il tempo: il focus sarà dapprima sul recupero di strategie di movimento normali e solo successivamente, nella fase cronica, si farà ricorso all’apprendimento di strategie di movimento compensatorie.
Soffermiamoci ora sul concetto di fasi di recupero. Il concetto di fasi di recupero si basa sul presupposto che il processo di recupero possa essere suddiviso in fasi distinte. Classicamente il recupero viene suddiviso in spontaneo e guidato. Il recupero guidato è quello ottenuto attraverso interventi specifici finalizzati ad impattare sui meccanismi neurali, possibile quindi grazie alle caratteristiche plastiche del sistema nervoso centrale, cioè a dire alla sua capacità di modificarsi.
A questo proposito la ricerca ci dice quanto sia importante per la persona con danno neurologico sperimentarsi nello svolgimento di attività funzionali, cioè attività finalizzate al raggiungimento di un obiettivo, ancor più se quell’obiettivo è interessante per la persona.
Ecco perché quando una persona colpita da danno neurologico trascorre molte settimane o mesi senza una guida che lo accompagni nel percorso di riapprendi mento di abilità motorie, le modifiche nella riorganizzazione del suo cervello, successive alla lesione, saranno quelle dovute al non uso, modifiche che devono essere evitate perché possono condizionare negativamente il processo di recupero.
Tuttavia, la buona notizia è che un buon training riabilitativo sembra comunque capace di fare la differenza, in senso positivo, indipendentemente da quando la persona inizia a servirsene, e questo è possibile perché il nostro cervello continua a essere plastico per tutta la vita.